martedì 30 settembre 2008

Non ho capito

Conoscete la serie di film “Amici miei”?
Avete presente la supercazzola?


La supercazzola è quando uno dice finte parole per metter su un discorso che sembra vero ma non lo è. La velocità e la scioltezza sono fondamentali. E’ utile anche l’inserimento qua e là di parole di senso compiuto che rafforzino l’impressione che chi parla stia dicendo qualcosa di sensato.
Il termine “supercazzola” è preso dai film, ma la pratica affonda le sue origini nella notte dei tempi, come risulta anche dalle acculturate (pure troppo) dissertazioni della Wikipedia.

Perché funziona la supercazzola?
A parte l’abilità del supercazzolaro, è fondamentale un altro ingrediente: un interlocutore che faccia finta di aver capito. C’è chi lo fa per un falso senso di buona educazione, come se cercare di capire quel che ci hanno detto fosse una specie di offesa. Chi lo fa perché non vuol manifestare la propria ignoranza, a cui attribuisce il fatto di non aver capito, ma che non vuole assolutamente ammettere. Chi lo fa per superficialità, perché ascolta solo se stesso e quindi ciò che dicono gli altri non lo sfiora nemmeno.

Provate a chiedervi per un attimo: “Come reagirei io alla supercazzola?” (dando ovviamente per scontato che non vi rendiate conto, sul momento, che si tratta di una supercazzola)
Rientrate in uno dei casi che ho descritto sopra?

In un solo caso, nel film (Atto II), la supercazzola non funziona: quando il perfido Mascetti si trova di fronte un monumentale quanto minaccioso aiuto-cuoco (affilante coltelli), che al suo farneticare sconnesso risponde prosaicamente “Non ho capito un cazzo!”.
Se uno ammette (serenamente, magari, senza “cazzi”) di non aver capito, la supercazzola non funziona più. Il supercazzolatore passa dalla parte del torto, perché è lui quello che non si fa capire.
Anche quando non c’è l’intento dichiarato di supercazzolare, capita spesso che qualcuno dica qualcosa che non capiamo. Magari perché si mangia le parole, o perché usa un linguaggio troppo forbito o specialistico, o perché sta cercando menare il can per l’aia senza sbilanciarsi su qualche questione delicata (come fanno ormai a tempo pieno i nostri politici).
Allora basta dire “non ho capito” e si rompe l’incantesimo. Il venditore di fumo si deve spiegare. Se continua a vendere fumo, diventa palese la sua malafede. Spesso, a questo punto, preferisce darsi alla fuga.
Se invece non c’è malafede, si arriva al lodevole scopo di capirsi meglio, che non fa mai male.

Persuadetevene: "Non ho capito" non è una parolaccia!
Anzi, fa bene alla salute.
Usiamolo più spesso!!!

lunedì 29 settembre 2008

Libera stampa gratuita



L’inglese è pieno di parole polisemiche, ossia che hanno più significati diversi (questa l’ho imparata dal VdS ma non diteglielo, che si monta la testa!). E’ così che uno si ritrova con “free” che significa sia “libero” che “gratis”, con possibili interpretazioni anche molto distanti fra di loro.
Dalla rivista “Carta” scopro che 92 testate giornalistiche italiane distribuiscono una quantità di copie quasi uguale a quella di 5 testate di “free press”.
Stampa libera?
No. Stampa gratuita.
Sono le varie “City”, “Leggo”, “Metro”, che vengono regalate ad ogni angolo di strada.
Se consideriamo che sono comparse pochi anni fa, è un dato che dà da pensare. Oggi un italiano su due legge un quotidiano gratuito anziché comprarselo.
Ma la qualità non è la stessa! Non che voglia fare l’avvocato d’ufficio dei quotidiani in vendita, avrei molto da ridire anche su quelli, ma questa “free press” è terribile: il livello è infimo, le principali notizie sono di gente scippata, accoltellata, aggredita, insomma fatte apposta per diffondere allarmismo sul tema sicurezza (che nella scorsa campagna elettorale non a caso ha fatto la parte del leone), le altre notizie sono a metà strada fra lo “strano ma vero” della Settimana Enigmistica e le panzane raccontate da Voyager, e per finire è piena di pubblicità (che la rende gratis, ma non certo libera). Spesso, per fare volume, la stessa notizia è riscritta tre o quattro volte, in pagine diverse, con layout diversi (un box, un trafiletto, una notizia su tre colonne, una breve).

Sappiamo benissimo che in tema di giornalismo la “libertà” è un concetto quanto mai sfuggente. E’ libero un giornalista che presenta le notizie come gli viene richiesto dal suo direttore? E’ libero il giornalista di un organo di partito? O di una testata che è portavoce di poteri ed interessi ben definiti? Alla fine è una questione di opinioni…

L’oggettività alla base della deontologia professionale dei giornalisti è solo ipocrisia: non c’è modo di raccontare una notizia senza filtrarla attraverso il proprio punto di vista (o quello del proprio padrone). L’unica libertà che può avere un giornalista è di raccontare le notizie come gli pare, ma è una cosa estremamente rara. Per lo più la stampa è solo propaganda in mano a qualche potere economico o politico ben definito.

Per questo motivo è particolarmente aberrante l’uso di espressioni in inglese che saranno anche fighe ma si portano dietro delle ambiguità pericolose: scambiare per “libero” un giornale che viene pagato da pochi e regalato a molti è un errore madornale. Quando la roba è gratis, è sempre bene chiedersi perché! Vuol dire che c’è qualcuno che ha qualcosa da dire e che si può permettere di pagare al posto degli altri. In pubblicità funziona così, ma il costo lo ripagano i consumatori quando comprano la merce pubblicizzata. Nel caso della “free press” in che forma ci viene presentato il conto?

venerdì 26 settembre 2008

Bocciàti!




Uno ascolta i tiggì e sente:

E’ illegale se un insegnante minaccia di bocciare un allievo. Lo dice la cassazione!

Poi però ascolti il seguito e diventa:

E’ illegale se un insegnante minaccia ingiustamente di bocciare un allievo. La cassazione ha confermato la condanna per un professore che aveva minacciato una sua allieva.

Ancora ti sfugge qualcosa. Come mai queste minacce? E che significa “ingiustamente?
Allora vai ad informarti per bene e scopri che

La cassazione ha confermato una sentenza contro un insegnante che aveva minacciato un’allieva di bocciarla come ritorsione in seguito a scontri avuti con la madre della suddetta allieva.

Ma allora di che stiamo parlando?
Lo fate apposta?

Il problema non è se la cassazione chiarisce, il giorno dopo, con un comunicato, per far chiarezza di tutte le sciocchezze dette. No. Il problema è se i giornalivendoli decidono che fa più scoop una notizia falsa vagamente attinente ad un fatto di cronaca che non il fatto di cronaca in sé.

A chi gliene frega niente se un professore, che peraltro ha già avuto da ridire con la madre, dice alla figlia che la boccerà? Ma vuoi mettere invece se monti ad arte un bel fraintendimento e fai credere a tutti, insegnanti e studenti e famiglie degli studenti, che la prossima volta che un professore dirà “Stai attento Adinolfi, hai già due insufficienze, se non ti dai da fare ti boccio” potranno denunciarlo e pretendere un risarcimento? Grasso che cola!!! Ma falso.
Roba buona giusto per fare due commenti qualunquisti in metro mentre si va a lavorare… o per far lucrare qualche avvocato senza scrupoli…

E poi, fatemelo ripetere, che fa sempre bene: NON SIAMO IN AMERICA!
In Italia la legge funziona diversamente da tutti i film americani che ci beviamo ogni sera in tivvù, dove si va a ripescare un precedente del 1814 per scagionare un imputato due secoli dopo. Da noi il "precedente" non esiste. Due giudici possono emettere due sentenze contrapposte su due casi identici e non succede niente!
E soprattutto, la Cassazione non fa le leggi! La Cassazione dice solo se il processo si è svolto secondo le regole o no. Se sì, bene! Se no, si rifà tutto da capo. Ma non è mai la Cassazione ad emettere la sentenza sul caso in questione. Quindi basta con ‘sta storia “l’ha detto la Cassazione”.
Casomai “l’ha detto la sentenza di appello e la Cassazione l’ha confermato”.

Però fa molto meno scena così, eh?

venerdì 19 settembre 2008

Il primo è il primo…

il secondo non è nessuno!




Un paio di interventi fa (qui) abbiamo parlato di reCaptcha e di Gwap.
Sono due applicazioni che io trovo molto intriganti ma che mi suscitano una certa inquietudine perché condividono una caratteristica apparentemente innocua ma importante: entrambe funzionano solo in lingua inglese.

Qualcuno dirà: “E sticazzi!” (trad: “Sarebbe forse questo un problema, di grazia?”)
Sì. E’ un problema. E’ un problema vecchio che adesso, con internet, si aggrava.
Personalmente non è che mi faccia molti scrupoli a usare parole inglesi come computer, privacy, ecc. La considero una cosa normale in un mondo sempre più cosmopolita, in cui però si usano anche vocaboli di altre lingue, come croissant, sushi, taco, würstel, ecc. (mi sta venendo fame...)

Queste simpatiche iniziative della Carnegie Mellon University servono però a far funzionare meglio i motori di ricerca inglesi, ad indicizzare le immagini in inglese, a migliorare le scansioni dei testi in inglese e così via.
Loro fanno benissimo a sviluppare questo tipo di strumenti e penso che da questo possa trarre giovamento tutta l’umanità. Quello che manca, però, sono analoghe applicazioni per l’italiano, il francese, lo spagnolo, il tedesco, ecc.

Già oggi, quando cerco qualche informazione su internet è molto frequente che le risposte alle mie domande siano in inglese: recensioni, articoli, notizie... il materiale disponibile in lingua inglese è di più, più assortito, più completo. Provate per esempio a cercare lo stesso soggetto sulla Wikipedia italiana e su quella inglese: c’è un abisso. L’ho fatto spesso, sia per studio che per svago, ed ho visto che molto spesso le pagine italiane sono una brutta traduzione (monca) di quelle inglesi.
Se c’è uno scrittore poco conosciuto che è stato tradotto in poche lingue, l’inglese è sicuramente fra queste. Se volete un tutorial per fare qualcosa di non banale su un computer, lo troverete senz’altro in inglese. Se studiate su libri di testo scientifici universitari, quasi sicuramente sono versioni tradotte di testi in lingua inglese.
Insomma, di motivi per andare a ricascare sull’inglese ce ne sono tantissimi e, se i motori di ricerca e le acquisizioni dei testi verranno guidati da anglofoni, la situazione non potrà far altro che degenerare ulteriormente.

Il mondo si evolve sempre più velocemente. E’ sempre più frequente avere scambi (di merce o di pensiero) internazionali e quello che si prospetta all’orizzonte è un crescente monopolio della lingua inglese, basato anche sul supporto della tecnologia applicata dagli statunitensi. Google è diventato praticamente l’unico motore di ricerca di internet ed è un sito americano, non scordiamocelo! E non scordiamoci nemmeno che il suo potere cresce di più ogni giorno, che assorbe qualsiasi novità spunti sulla rete (quanto ci ha messo a comprarsi YouTube?) e che può condizionare il nostro modo di usare la rete in decine di modi diversi, che probabilmente non riusciremmo nemmeno a notare (vi ricordate delle polemiche sulle censure cinesi?).

[Non ditelo in giro, ma anche questo Blog è ospitato sui server di Google!]

Insomma, se non vogliamo che le nostre lingue madri finiscano per diventare un polveroso retaggio di archeologia in mano ai padroni di Google, sarà il caso di darsi una mossa, mandare qualche ricercatore a fare un bello stage alla Carnegie Mellon ed implementare al più presto strumenti analoghi per la lingua italiana (e francese, tedesca, ecc)… e magari implementare anche qualche motore di ricerca alternativo, giusto per avere la possibilità di scegliere…

Tanto per chiudere con un po’ di pathos, ho provato a cercare (su Google!) se ci fossero collegamenti fra la Carnegie Mellon e Google stesso. Ne ho trovati molti: professori della CMU che dirigono uffici di Google, sponsorizzazioni di Google per ricerche fatte alla CMU e così via.
Provate a digitare la chiave di ricerca “Carnegie Mellon Google” e vedrete da soli…
Così come vedrete questo fulgido esempio di amore e rispetto per la lingua italiana, in fondo alla pagina:

Cara benzina

Su le mani!

Ho ricevuto da un amico la segnalazione di un evento promosso da Legambiente:

Sabato 20 settembre Legambiente Firenze e Comune di Firenze organizzano un convegno su "MOBILITA' SOSTENIBILE E CARO-BENZINA - Come cambierà la mobilità con la benzina "alle stelle"?", nel Salone de' Dugento di Palazzo Vecchio a partire dalle 9.30. Si parlerà del futuro della mobilità sostenibile e del trasporto pubblico a Firenze, visto che l'aumento progressivo del prezzo della benzina potrebbe modificare le abitudini di molti cittadini in fatto di mobilità.

Legambiente non c’entra niente con quello che voglio dire. Cito solo la loro iniziativa come esempio di una campagna mediatica che negli ultimi mesi si è fatta sempre più forte e cerca di convincerci che ormai il prezzo dei carburanti è insostenibile e che ormai non si può più andare in macchina perché “non ce lo possiamo più permettere”...

Io, personalmente, sono piuttosto scettico. Sono un “santommaso” (o un rompicoglioni, se preferite) per vocazione, ma sta di fatto che non mi sono accorto di un rincaro particolarmente forte del prezzo della benzina. Eppure ho un’auto ed una moto. Certo, non faccio spostamenti enormi. Certo, mi sono accorto che i “dieci euro” con cui rifornisco la mia moto non mi fanno più fare gli stessi chilometri di sei anni fa, quando l’ho comprata. Ma non mi sogno nemmeno di fermare il mezzo a causa del “caro benzina”. Io di "caro benzina" ne sento parlare da quando sono nato, ma vogliamo provare a dare una misura, per quanto intuitiva, di questo fantomatico aumento “alle stelle”?

Sul sito MetanoAuto ho trovato un grafico dell'andamento dei prezzi dei carburanti "alla pompa" dal 98 in poi.

andamento 1998-2008

Non mi pare che in questi 10 anni ci siano state particolari impennate del prezzo della benzina: la crescita c’è, ma è abbastanza regolare. Fra l’altro 10 anni non sono pochi: io 10 anni fa percepivo uno stipendio molto inferiore a quello attuale. Facendo un conto a spanne, il mio compenso mensile netto in busta paga è aumentato di oltre il 40%. Nel frattempo ho anche fatto un po' di carriera... ma prendiamo il dato così com'è, come puramente indicativo.
Il prezzo della benzina è passato da un minimo di circa 88 centesimi al litro nel febbraio '99 ad un massimo di circa 1,53 nel luglio 2008. Notate che ho preso il minimo ed il massimo storici dell’intero periodo, quindi sto considerando il massimo aumento possibile.
L'aumento è stato di oltre il 70%, quindi ben più consistente di quello del mio stipendio. Il mio potere d'acquisto sulla benzina è diminuito del 20% (cioè la quantità di benzina che posso comprare con un mio stipendio è diminuita del 20%).

Questo però significa che per fare un pieno alla mia auto, in proporzione, io spendo 12 euro in più (62 anziché 50). Se faccio un pieno la settimana, diventano oltre 600 euro in più all'anno (3224 anziché 2600).
Attenzione: stiamo parlando di una differenza che si è creata in 10 anni! Se facciamo una banale media, vengono 60 euro di aumento all'anno.

Ora... sinceramente... questi 60 euro potrei sicuramente spenderli in altri modi più gratificanti, però.. come dire... non mi cambiano la vita!
Certo, mi costa di più fare benzina, ma non al punto da smettere di prendere l'auto. Alla fine continuo a scegliere il mezzo di trasporto in base alla comodità ed al tipo di viaggio che devo fare, e non certo in base al costo della benzina.

E allora tutta 'sta campagna stampa sul rincaro dei carburanti, da dove salta fuori?
Non stiamo parlando solo di autotrasportatori, sui quali il costo del carburante ha un impatto fondamentale ed imprescindibile.
No, qui si fanno i convegni dicendo che cambieranno "le abitudini di molti cittadini in fatto di mobilità"!
Cioè ci stanno raccontando che chi va al lavoro in auto, chi va a fare la spesa in auto, chi va a divertirsi in auto, smetterà di usare l'auto perchè complessivamente, in un anno, dovrà spendere 60, 100, 200 euro in più? Ma stiamo scherzando? Spendo di più in caffè, io che ne bevo pochi! Un fumatore che consumi un pacchetto ogni due giorni (10 sigarette al giorno, non molte per un fumatore normale) spende più di 600 euro all'anno. Se gli aumentassero il prezzo del pacchetto di 20 centesimi avrebbe lo stesso rincaro che abbiamo definito "alle stelle" per la benzina (circa 60 euro l'anno, e su un totale complessivo molto inferiore) e credete forse che smetterebbe di fumare?
Ma chi vogliamo prendere in giro?

La benzina rincara, ma non in modo particolarmente improvviso o consistente. Negli ultimi 10 anni il trend è praticamente costante. Allora perché ci vengono a raccontare il contrario? Chi è che si giova di questi allarmismi? I politici che si accusano l’un l’altro? Le associazioni dei consumatori che fanno facile demagogia? I cittadini con scarsa memoria, che vedono gli aumenti e si lamentano e non si accorgono che gli aumenti continuano esattamente nello stesso modo da 10 anni a questa parte? O forse siamo arrivati talmente vicini al punto di rottura, che anche 60 euro l’anno sono diventati fondamentali per noi?

Sinceramente, non capisco...

venerdì 12 settembre 2008

Aiuto, mi schiaptchano!

Di recente sono stato stimolato ad interessarmi di “captcha”.

Sapete che cos’è un captcha? Dalle mie prime esperienze avevo dedotto che si trattasse di una specie di parassita della rete, un piccolo bacarozzo alfanumerico contorto che vive in piccoli riquadri confusi e rumorosi e che infesta numerosi siti internet, in particolar modo i blog e qualsiasi altro sito richieda degli input manuali da parte dell’utente.

un esempio di captcha
In seguito, approfondendo le mie indagini, ho scoperto che “captcha” in realtà è una specie di acronimo (un po’ storpiato, all’americana) e che significa, più o meno letteralmente, “metodo automatico per distinguere gli umani dalle macchine”. Il sogno (o l’incubo?) di Philip Dick! Una razza di precursori (o epigoni?) dell’analizzatore Voight Kampff (dotati, fra l’altro, di un look decisamente meno inquietante).

Blade Runner
Quindi i bacarozzi di cui sopra sono solo UNA possibile realizzazione di captcha.
Un metodo completamente diverso può essere, per esempio, di porre domande “intelligenti” all’interlocutore. Domande a cui una macchina non saprebbe rispondere. Ti mostro una foto e ti chiedo “è un cane o un cavallo?”. Per ora i computer fanno ancora fatica a distinguere fra i due.

quale dei due?
Oppure ti mostro un puzzle grossolano di una foto di un personaggio famoso e ti chiedo di riconoscerlo.

cosa avrà voluto dire?
Tutte queste informazioni le ho trovate in parte sulla wikipedia ed in parte sul sito dedicato ai captcha della Carnegie Mellon University. Quest’ultima è anche promotrice di una simpatica iniziativa che sfrutta l’applicazione dei controlli antispam per migliorare le scansioni OCR di alcuni testi antichi o rovinati. Due piccioni con una fava! Si chiama reCaptcha e mi è già capitato di trovarla applicata qua e là sui siti della rete. Tenetela a mente perché ci ritorneremo sopra... (quando faccio così mi sembro Lucarelli!)

Sul sito captcha.net c’è un altro link che ha attirato il mio interesse. Si chiama Gwap e contiene “giochi captcha”. Dice il sito: “Gioca con dei giochi che i computer non possono giocare! Il nostro nuovo sito contiene molti giochi da cui non riuscirete a staccarvi e che aiutano i computer ad imparare a pensare in modo più simile agli umani. Voi giocate ed i computer diventano più intelligenti”.

Interpretandolo alla lettera, ci sarebbe da preoccuparsi! Viene subito in mente Hal 9000, il computer superintelligente di “Odissea nello spazio”, che si era evoluto a tal punto da desiderare di togliere di mezzo quegli imperfetti esseri umani che ancora pretendevano di comandare su Sua Perfezione.

Giro girotondo, io giro intorno al mondo...
O ancora, quel brillante raccontino di Fredrick Brown che si intitola “La risposta”, in cui al nuovo supercomputer galattico, appena acceso per la prima volta, viene posta la domanda fatidica: “Esiste Dio?”. Quello risponde “Sì, adesso Dio esiste!” e subito dopo stecchisce con un fulmine il tizio che si stava gettando sull’interruttore principale per spegnerlo.

Ma non è proprio il caso di preoccuparsi. I giochi di Gwap non servono affatto a far diventare intelligenti i computer. Servono invece a migliorare i motori di ricerca: mediante l’interazione con l’utente, vengono associate parole a contenuti mediatici non verbali (immagini e suoni). In questo modo un motore di ricerca può fornire risposte non verbali a ricerche verbali, cosa che al momento non gli riesce benissimo. Avete mai provato a cercare un’immagine con Google Immagini? Funziona piuttosto male.
Qualche tempo fa mi era stato segnalato Retrievr, un motore di ricerca grafico, in cui si DISEGNA quello che si sta cercando (oppure in alternativa si cerca un’immagine “simile” ad un’altra che viene indicata via link o upload). Idea fantastica, ma i risultati fanno un po’ pena. Forse il problema è che ricerca le immagini solo su Flickr e quindi il database è piuttosto limitato (sono solo immagini originali inserite dagli utenti) o forse è che proprio non ci capisce gran ché. Ho provato ad uploadare una mia foto e mi è uscito questo:

Questo mi somiglia???
Qualcuno dei miei amici sicuramente sarà d’accordo con l’associazione. Ma ce ne sono altre anche più improbabili. Per i più curiosi, le ho appoggiate su Imageshack.

Va detto però che coi colori è eccezionale: se volete delle immagini di cui non vi interessa il soggetto ma solo la resa cromatica, allora Retrievr è quello che fa per voi. Provare per credere...

Ma torniamo ai giochini di Gwap. In “ESP game” gli utenti, incentivati da un meccanismo “uno contro uno” a punti e a tempo (che li fa essere ancora più produttivi, ovviamente a gratis, alla faccia dei precari che lavorano nei call-center), associano delle parole alle immagini e quindi sarà poi possibile ricercare quelle immagini “descrivendole”, proprio come si cerca di fare adesso con Google, ma con risultati decisamente migliori.

“Tag a tune” funziona in modo simile ma per la musica: si danno descrizioni testuali di brani musicali. Idem con patate: forse un giorno riusciremo a scaricare un brano di musica digitando sul motore di ricerca “vorrei ascoltare qualcosa un po’ grunge, un po’ heavy, ma con un po’ di dolcezza triste alla Mark Lanegan e dei violini”.
O forse no!

Più inquietante invece “Matchin”, il gioco che cerca di capire quali immagini sono più “attraenti” per l’utente. Qui si va ad indagare i gusti personali… sembra quasi un test psicologico… però lo si fa in due e si totalizza un maggior punteggio se si fanno le stesse scelte… una specie di test automatico per la ricerca dell’anima gemella (non a caso, alla fine si apre pure una finestra di chat per comunicare con l’altro giocatore), oppure un omogeneizzatore di gusti, in cui i campioni sono coloro che riescono a fare le scelte più popolari del momento… una specie di sindrome di Zelig all’ennesima potenza!

Zelig
Ma io, in realtà volevo parlarvi di tutt’altro e cioè del fatto che... hemm... ma forse è meglio che ne parliamo un’altra volta. Per oggi mi sembra che possa bastare...


Nel prossimo intervento parleremo quindi di egemonia linguistica veicolata dalla rete. Non mancate!

giovedì 4 settembre 2008

Sei un bastardo. Vattene!

Prima di entrare nel vivo del mio intervento, prendetevi un attimo per riflettere sulla frase del titolo:
“Sei un bastardo. Vattene!”

Provate ad immaginarvi il tono con cui viene detta. Immaginate la situazione. Se avete voglia di giocare con me, prendete un foglio di carta e provate a descrivere brevemente la scenetta che avete immaginato: chi sono i protagonisti, qual è il contesto e, soprattutto, “cosa avrà voluto dire?” :)

Cosa avrà voluto dire?

Ne butto là qualcuna delle mie.

Ambrogio e Bernardo sono due adolescenti, liceali, compagni di classe. Ad Ambrogio piace una ragazza di un’altra classe, Cristina, ma è timido e la guarda da lontano senza avere il coraggio di farsi sotto. Bernardo scrive un biglietto a Cristina, firmato a nome di Ambrogio, chiedendole un appuntamento. Lei vuole accettare e va a dirlo ad Ambrogio che non ne sa niente e cade dalle nuvole. Alla figura di merda (che però strappa un sorriso a Cristina) segue dialogo chiarificatore fra i due amici:
B – (ridendo) L’ho fatto per il tuo bene! Sennò col cazzo che ti davi una mossa, bradipo!!!
A – (sorridendo a denti stretti, ancora rosso in viso per la vergogna) Sei un bastardo. Vattene!
Traduzione del pensiero di A con altre parole: “Sei un amico ma mi hai messo in un imbarazzo terribile, stronzo. Comunque ti voglio bene!”
Come B percepisce il pensiero di A: “Avrei voglia di prenderti a pugni ma ti ho già perdonato!”

Anselmo e Bertoldo sono due trentenni che si conoscono da una vita. Anselmo sta con Caterina, donna avvenente ed un po’ frivola, da un paio di anni. Anselmo sta meditando sulla possibilità di metter su famiglia con lei e lo confida a Bertoldo, il quale è contrario perché la reputa una persona inaffidabile. Per dimostrarlo (o forse perché è un po’ stronzo ed invidioso) inizia a corteggiarla segretamente ed infine la seduce. Poi racconta tutto all’amico:
B – (serio) Lo vedi? Di lei non potevi fidarti. L’ho fatto per il tuo bene!
A – (ancora più serio) Sei un bastardo. Vattene!
Traduzione del pensiero di A con altre parole: “Puoi accampare tutte le giustificazioni che ti pare, ma mi hai ferito profondamente. Esci dalla mia vita, sennò ti apro il cranio come una mela!”
Come B percepisce il pensiero di A: “Non capisco niente di quello che mi stai mostrando. Sono uno stupido, innamorato di una troia, ma preferisco mandare in culo te anziché lei”

Anna e Bartolomeo sono due adolescenti che stanno insieme. Lei è una convinta monogama ed è molto affezionata a lui, che invece la tradisce continuamente. Lui è un tipo piuttosto superficiale ed opportunista, usa Anna come “approdo sicuro” ma si guarda bene del rifiutare qualsiasi occasione che gli capiti per andare con qualcun’altra, anzi, spesso e volentieri la lascia da sola per uscire con gli amici e andare a rimorchiare. Ovviamente tutto questo è spesso fonte di discussioni fra i due:
B – (mieloso ma poco convincente) Ma dai, pulcino, lo sai che per me sei l’unica che conta veramente, però sono fatto così, non so trattenermi…
A – (in lacrime, mordendo il fazzoletto) Sei un bastardo. Vattene!
Traduzione del pensiero di A con altre parole: “Non ne posso più dei tuoi comportamenti, ma ti amo con tutto il cuore e vorrei tanto che cambiassi. Ti prego, pentiti e torna da me!”
Come B percepisce il pensiero di A: “Lo sai che puoi farmi quello che ti pare, tanto bastano due moine per riconquistarmi”


Ora, è evidente il motivo per cui non sono diventato uno scrittore: non ho idee interessanti e, se mi sforzo, riesco a malapena a rimasticare cliché stantii già visti fino alla noia nei polpettoni hollywoodiani di oltre un secolo. Ma sorvolando sulla facile ironia che possono provocare questi miei tentativi abbozzati di raccontare storie, è evidente che una stessa frase può essere detta con spirito molto diverso ed avere significati anche diametralmente opposti, non solo per via del diverso contesto, ma anche a causa dei diversi punti di vista delle persone coinvolte.

Se sul vostro foglietto avete delle variazioni sul tema diverse dalle mie, vi invito caldamente ad aggiungerle come commenti a questo post (oppure mandatemele per email, tanto mi conoscete bene tutti e tre, o incliti lettori del mio blog!). Penso che potrebbe essere una cosa divertente.


In conclusione, quanti significati diversi può avere una frase?

Su due piedi risponderei: (uno per ciascuna persona che la pronuncia) moltiplicato per (uno per ogni diversa occasione o contesto in cui viene pronunciata) moltiplicato per (una per ogni diverso ascoltatore a cui viene rivolta) moltiplicato per (altri aspetti che non mi vengono in mente adesso ma che certamente esistono)

In questa complessità c’è di che affogare. Non è umanamente possibile arrivare a tenere sempre in considerazione tutti questi aspetti. Eppure non è neanche giusto abbassare una saracinesca mentale sul problema ed autoconvincersi (campioni nell’esercizio del bispensiero) che ciò che diciamo ha il senso che intendiamo noi e nessun altro.

Non resta che armarsi di tonnellate di umiltà e di pazienza, di carriole di “non ho capito” e “spiegati meglio” e “ridimmelo con altri termini”, accettare di buon grado di spiegare tre volte ogni nostro concetto e sperare che in tutto questo sforzo da sordi mezzi rincoglioniti non ci vengano fuori due palle così! :)

Ammesso, ovviamente, che uno abbia intenzione di capirsi.
In caso contrario basta non fare niente e continuare così…

Orwell 1984